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Si parla di effetto leva quando un consumatore prende in prestito del denaro per aumentare la quantità di capitale da investire. Lo si fa affinché anche delle minime variazioni nel valore dell’investimento possano tradursi in guadagni maggiori.
Sfruttare del denaro preso in prestito per investire può in effetti apparire come una strategia utile per amplificare i guadagni laddove siano possibili investimenti sicuri o molto performati. Ma in finanza l’investimento sicuro non esiste. Quanto agli investimenti garantiti, nella maggior parte dei casi è possibile considerare solamente dei piccoli margini di guadagno. Entrate che potrebbero, in via teorica, pareggiare il peso degli interessi da ripagare per il prestito.
Ecco perché l’effetto leva appare come un piano rischioso. I rendimenti potrebbero non raggiungere le aspettative o, peggio ancora, il consumatore potrebbe dover affrontare delle perdite. Ma, in tutto ciò, non potrebbe comunque emanciparsi dalla responsabilità del rimborso del prestito.
Va da sé che gli interessi sul prestito incidono sui rendimenti netti dell’investimento. Dunque, affinché la strategia sia vantaggiosa, il rendimento atteso degli investimenti deve superare di parecchio il costo del denaro preso in prestito. L’effetto leva è spesso abbinato anche al mutuo. Se, per esempio, un consumatore punta ad acquistare un immobile del valore di 100.000 euro, potrebbe finanziare l’90% del costo con i soldi prestati da una banca o un’istituzione creditizia. In questo caso, quindi, il mutuo sarebbe da 80.000 euro.
Investendo altri 10.000 euro per una ristrutturazione, il consumatore potrebbe pensare di poter rivendere la casa a 130.000 euro. In questo senso, l’aspettativa del consumatore è quella di poter non solo ripagare del tutto gli interessi e i costi del finanziamento, ma anche di guadagnare oltre il 10% sull’intero capitale speso per l’acquisto della casa.
A ben vedere, l’effetto leva funziona in entrambi i sensi. Anche se il valore della casa scende, il danno sul capitale investito risulta infatti amplificato. E, in ogni caso, gli interessi e le spese del mutuo sono costi che vanno considerati come variabili che riducono già in partenza il guadagno netto.
Usare la leva finanziaria comporta la necessità di confrontarsi con un rischio maggiore, dato che l’investitore è esposto sia al potenziale di alti guadagni che a quello di perdite pesanti. Ci vuole insomma una gestione molto attenta e informata del rischio e di tutti i costi associati al finanziamento. Discuterne con un mediatore potrebbe essere dunque una buona idea. Prestiti.com offre a tutti i richiedenti la possibilità di discutere del proprio piano con un esperto.
La leva finanziaria va intesa innanzitutto come uno strumento da utilizzare per analizzare il rapporto tra il capitale proprio e il capitale di terzi all’interno dell’azienda o di un piano strategico finanziario. La formula comunemente utilizzata per calcolarla è il rapporto fra capitale totale investito (il proprio più quello ottenuto in prestito) e capitale proprio.
E tale indicatore viene di solito adoperato per valutare quanto un’azienda dipenda dai finanziamenti esterni rispetto ai propri mezzi. Un valore elevato della leva finanziaria indica infatti un rischi: quello di un’elevata dipendenza da capitali di terzi. Nella fattispecie si parla di costo del capitale di debito o return on debt: il dato che rivela l’onerosità del capitale preso a prestito da terzi. In finanza si parla di lRR, o tasso interno di rendimento dei flussi attesi legati a tutte le passività onerose aziendali.
Esperto di economia e finanza con una competenza consolidata nella redazione di articoli su temi economici, fiscali e finanziari.
Collabora regolarmente con testate online autorevoli come BlitzQuotidiano.it e Lamiapartitaiva.it, offrendo ai lettori approfondimenti chiari e dettagliati su argomenti complessi quali prestiti, gestione del denaro, normative fiscali e strategie per l’ottimizzazione delle risorse economiche.
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