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Il taglio di tassi da parte operato dalla BCE deciso lo scorso 6 marzo ha portato, come da più parti previsto, alla riduzione del costo del denaro a breve termine e quindi al calo dell’Euribor a tre mesi. Al contempo l’IRS ha registrato un forte aumento.
L’indice IRS anticipa le previsioni sull’andamento del costo del denaro. E il suo aumento rivela che la Banca Centrale Europea, dopo i sei tagli consecutivi, non ha più la forza né la volontà di operare altri grossi interventi. Secondo gli analisti, potrebbero arrivare al massimo altri due tagli, dopodiché si navigherà a vista.
Il tasso fisso dei mutui è basato sull’IRS. E non scende insieme all’Euribor. Quindi, anche se la BCE ha ridotto il costo del denaro a breve termine (facendo calare l’Euribor a tre mesi), non ha potuto far nulla per tenere sotto controllo l’indice IRS a vent’anni. Con l’aumento dell’IRS, si alza il costo del mutuo fisso. E, in parole povere, chi stipulerà un contratto di mutuo a tasso fisso in questi mesi pagherà una rata più elevata rispetto al passato, nonostante il calo dei tassi a breve termine.
Il calo dell’Euribor, l’indice di riferimento per i prestiti e i mutui a tasso variabile, renderà infatti le rate di questi finanziamenti un po’ più contenute. E già ad aprile 2025, riguardo ai mutui, i contratti a tasso variabile potrebbero apparire più vantaggiosi rispetto a quelli a tasso fisso. Quanto durerà? Difficile dirlo, ma gli osservatori sembrano convinti che la convenienza del tasso variabile sarà misurabile solo sul breve termine. Già a fine 2025 dovrebbe infatti cominciare la risalita.
La maggior parte dei mutuatari non ha grande dimestichezza con la politica economica europea e con gli scambi di flussi di cassa che regolano gli indici in finanza. Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza. Eurirs è l’abbreviazione che rimanda alla sigla Euro Interest Rate Swap. Ovvero tasso per gli swap su interessi. Si tratta del tasso di riferimento, calcolato giornalmente dalla Federazione bancaria europea, per registrare il tasso di interesse medio in base al quale le grandi banche stipulano swap a copertura del rischio di interesse.
IRS sta invece per Interest Rate Swap. Ed è il tasso di riferimento usato soprattutto per i mutui a tasso fisso in Paesi come l’Italia. Tale indice nasce da un accordo tra banche, in cui si scambiano pagamenti (i flussi di cassa citati più su). Una parte paga un tasso fisso e l’altra un tasso variabile. Il tasso risultante da questo scambio rappresenta dunque il costo del denaro a lungo termine.
Abbiamo a che fare con un vero e proprio contratto che prevede lo scambio periodico tra due operatori di flussi di cassa. Tali flussi si concentrano però solo sugli interessi calcolati sulla base dei tassi predefiniti e differenti (e di un capitale teorico di riferimento).
Il mutuatario che accende un mutuo a tasso fisso ottiene dal creditore una percentuale immutabile di interessi per tutta la durata del finanziamento. Questa percentuale si ottiene proprio attraverso l’IRS, che è la base per determinare il tasso di interesse che pagheranno i consumatori. Se l’IRS aumenta, anche il costo del mutuo a tasso fisso sale. E viceversa.
Bisogna però sapere che l’IRS tiene conto delle aspettative di mercato riguardo ai tassi d’interesse a lungo termine. Se le banche si aspettano tassi più alti in futuro (come sta succedendo ora in Europa, per via delle tensioni geopolitiche, dell’inflazione in Germania e dei dazi di Trump), l’IRS va verso l’aumento. E, di conseguenza, salgono anche i tassi fissi dei mutui.
Esperto di economia e finanza con una competenza consolidata nella redazione di articoli su temi economici, fiscali e finanziari.
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