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Una banca condannata a risarcire oltre 869.000 euro a un’azienda per aver applicato tassi di interesse non corretti su un contratto di leasing.
Sempre più spesso le aziende firmano contratti di leasing con gli istituti di credito. Funziona più o meno così… la banca (o la società di leasing) acquista il bene che serve all’azienda e propone poi un canone periodico e un prezzo di riscatto. Invece di chiedere un prestito o un mutuo, l’azienda lascia dunque che sia il creditore ad acquistare il macchinario, il veicolo o l’immobile di cui ha bisogno. Dopodiché passa a utilizzare il bene pagandone solo il noleggio.
Alla fine del contratto, l’azienda può però riscattare il bene pagando la somma residua, rinnovare se è possibile il noleggio o rinunciare al bene e restituirlo. Ma cosa succede se l’impresa si accorge che le rate sono più alte del previsto? Se i tassi applicati non corrispondono a quelli pattuiti o comunque non sono chiaramente determinabili, l’azienda può far causa al creditore. Una recente sentenza ha chiarito quali sono le responsabilità della banca e quali i diritti dell’azienda in simili circostanze.
Il caso è stato trattato dal Tribunale di Roma, ottava sezione civile. E la decisione è stata depositata il 23 giugno 2025 con il numero 9363/2025. E ora siamo al cospetto di una sentenza che rappresenta un precedente molto importante per chi ha sottoscritto contratti di leasing poco chiari.
Il tribunale ha assodato che il contratto in questione non indicava in modo trasparente il tasso d’interesse. Inoltre, i tassi applicati erano superiori a quelli consentiti dalla legge. Dunque, il creditore aveva violato l’art. 117 del TUB, il Testo Unico Bancario, che impone chiarezza e determinabilità nei tassi. Così, il tribunale ha dato ragione all’azienda. Stabilendo che il contratto era indeterminato e ambiguo sul piano dei tassi. E che doveva essere applicato il tasso sostitutivo, cioè quello dei Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), più favorevole al cliente.
Il contratto indicava solo il TAN (cioè il tasso annuo nominale), omettendo il TAEG, che è il riferimento più importante per il consumatore o il richiedente. E non mostrava nemmeno il piano di ammortamento. Mancava pure il TIA, che nei contratti di leasing indica il tasso interno di attualizzazione … Il riferimento che indica il costo di acquisto del bene (al netto delle imposte) e il valore attuale dei canoni più il prezzo di riscatto finale (sempre al netto delle imposte). Senza il TIA, in pratica, è impossibile calcolare il piano di ammortamento del leasing.
Per questo, tale tasso va indicato obbligatoriamente nei contratti, secondo quanto affermato dalle disposizioni della Banca d’Italia. Ecco perché il giudice ha dichiarato nulle le clausole sugli interessi per mancanza di trasparenza.
E, alla fine, la banca è stata condannata a risarcire oltre 869.000 euro per interessi pagati in eccesso. E non è tutto: la banca dovrà anche rimborsare parte delle spese legali. La sentenza in questione è molto interessante perché si fonda su un principio chiave… Se il contratto non indica chiaramente il tasso, si applica quello previsto dalla legge. È una forma di tutela per chi firma un contratto con un soggetto forte. Come lo è appunto un istituto di credito. Ed è un fatto interessante per chiunque rischi di trovarsi in una posizione svantaggiata nel mercato del credito.
Altresì interessante è la questione del tasso sostitutivo... Quando il contratto non indica chiaramente il tasso d’interesse, la normativa vigente impone l’applicazione del tasso sostitutivo, cioè quello dei BOT emessi nei 12 mesi precedenti.
Esperto di economia e finanza con una competenza consolidata nella redazione di articoli su temi economici, fiscali e finanziari.
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